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Ciro Arcadio non c'č pių

La notizia tristissima ci ha colti tutti impreparati. La sua morte ci ha privato di un fraterno amico e di un caro compagno di tante battaglie del nostro Comitato. Tante, tantissime erano ancora le cose che avevamo da fare, caro Ciro. Tanti i progetti, le speranze, i rimpianti per aver perso irrimediabilmente una parte importante e preziosa della nostra vita. Ed anche della nostra comune lotta contro le ingiustizie che ogni giorno vedevamo passarci sopra la testa ma sulle quali ci ostinavamo a non voler soprassedere. Un caro abbraccio Ciro, ti dobbiamo davvero tanto e non siamo ancora in grado di realizzare l'enormità della perdita che ci ha colpiti.

Vi trascriviamo un articolo su Ciro apparso oggi sul giornale La Gazetta del Mezzogiorno a firma del giornalista Ivan Petrarulo, che con Ciro aveva collaborato nella preparazione del film "Fermata Pasolini".

GROTTAGLIE Ciro Arcadio è morto. E non ci sarebbe nient'altro da dire. Nient'altro da aggiungere. Perché è impossibile. Non si può davvero morire così. All'improvviso. Da un giorno all'altro. A 35 anni. Con tutti i sogni ancora intaccati. Con tutte le speranze. Con le proprie illusioni. Con tantissime cose ancora da fare. Morire proprio quando la vita è colma di gioia e ti galoppa dentro. No, non si può. E' stata un'embolia. Ed una complicazione dopo una settimana in ospedale, in terapia intensiva, a Francavilla Fontana. Infine, la fine. La notizia che sa più di tragedia: «Ciro non ce l'ha fatta». Ed è l'unica frase, spoglia, amara, sussurrata a denti stretti per cercare di frenare le emozioni di colpo impazzite. «Ciro non ce l'ha fatta». Poche parole che aprono una voragine buia sotto i piedi di tutti quelli che non potranno mai più dimenticare quel pomeriggio del 18 agosto. E i ricordi scorrono confusi. A ritroso. O in ordine sparso. Ogni momento, ogni dettaglio, tutto diventa un luogo da rivedere; da visitare. Da rigirarsi nella memoria come si potrebbe fare con una pietra preziosa trovata per caso. La sua ragazza, Antonella, le sue sorelle, la madre, nessuno riesce a liberarsi da questa specie di incubo. Le ultime parole, l'ultimo sorriso, l'ultimo saluto, tutto resta inciso nei ricordi di chi, sino all'ultimo, è stato accanto al ragazzo, al fratello, all'amico, al compagno. Sì, il compagno Ciro. Così amavano chiamarlo un po' per scherzare coloro che gli erano affezionati. Perché durante l'ultima campagna elettorale era stato fortemente voluto da Rifondazione Comunista come candidato sindaco. Il candidato più giovane che, dal palco dei comizi, parlava in una lingua diversa. Parlava di sogni. Forti. Inestirpabili. Ingenui. Cristallini. Sogni di chi ama la propria città, la propria gente, ma con audacia e rabbia. Esposto, in piedi, di fronte a mille occhi, non prendeva nemmeno in considerazione la paura di urlare anche le verità più scomode. Ed era questo coraggio, questo entusiasmo ad aver contagiato tutti quei giovani che, in lui, cominciavano a trovare un punto di riferimento. Sembrava insolito (e in fondo era raro) che qualcuno prendesse a calci ma con ironia la seriosità delle istituzioni per poi maneggiare le proprie speranze con gran serietà. «In politica come in ogni altra cosa si può stare da una parte sola della barricata», amava ripetere. E queste sue convinzioni lo rendevano per molti un esempio. Nell'associazione Camini, di cui era presidente, nel comitato «Vigiliamo per la discarica», in tutti gli altri luoghi che amava frequentare, portava le sue convinzioni, le sue passioni per il cinema e per la poesia, le sue lotte per l'ambiente, tutte nel suo sguardo e nella sua inseparabile borsa a tracolla davvero enorme ma non abbastanza da contenere tutti i suoi sogni. Ricordo il primo ciak del documentario «Fermata Pasolini» girato insieme. Ricordo le ore passate davanti al computer ad assemblare le scene. Ricordo l'entusiasmo per «Zona d'ombra» un mega-confessionale cittadino che si era inventato e che per lui era una miniera di preziosa umanità. Poi l'ultimo atto. Ivan Petrarulo

23 Aug 2006

COMITATO VIGILIAMO PER LA DISCARICA